—  Andrea Fabozzi, Roma, 27.4.2015

Riforme. Voto segreto ma senza fiducia per le pregiudiziali di costituzionalità. Renzi fa il conto dei «convinti» e degli amici in Forza Italia. Alla prima sfida la camera si svuota. Non bastava la minaccia della crisi di governo, adesso il segretario del Pd mette in ballo «la dignità del partito». E attacca ancora la minoranza

La ministra delle riforme Maria Elena Boschi ieri alla camera

Quando alle dieci del mat­tino parte la discus­sione gene­rale sulla riforma più con­te­stata della legi­sla­tura, nell’aula di Mon­te­ci­to­rio sono in ven­totto. Tolti i tre del governo e i cin­que della com­mis­sione, rela­tori e uffi­cio di pre­si­denza, ci sono venti depu­tati che hanno deciso di affac­ciarsi su quella che avrebbe dovuto essere la bat­ta­glia dell’Italicum (qual­cuno si foto­grafa e twitta: «Io c’ero»).

Comin­cia allora una recita un po’ imba­raz­zata, dove soprat­tutto i con­trari leg­gono discorsi alti­so­nanti e allar­mati, ma tarati su un udi­to­rio più attento o almeno pre­sente. Molto pre­sto gli inter­venti si esau­ri­scono e la mini­stra delle riforme Maria Elena Boschi si trova a dover anti­ci­pare la sua replica nell’aula che è rima­sta vuota. Prima di pranzo il dibat­tito sulla legge «epo­cale» è già finito.

Oggi comin­ciano i voti e l’aula si riem­pirà. Ma le spac­ca­ture nella mino­ranza del Pd non si ricom­por­ranno, e il governo non ha molto da temere.

Si comin­cerà votando le que­stioni pre­giu­di­ziali e sospen­sive (quat­tro di costi­tu­zio­na­lità, tre di merito e una sospen­siva). Sono state pre­sen­tate da Sel, Lega, 5 Stelle e Forza Ita­lia sol­tanto ieri, ed è per que­sto che saranno votate sta­mat­tina (dalle 11.30). Fos­sero state annun­ciate prima dai capi­gruppo, per il rego­la­mento della camera avreb­bero potuto essere votate già ieri, prima della discus­sione. Cer­ta­mente la camera non sarebbe stata così vuota, ma magari la mag­gio­ranza avrebbe avuto qual­che dif­fi­coltà in più (come sem­pre il lunedì).

Le pre­giu­di­ziali di costi­tu­zio­na­lità si vote­ranno con un unico scru­ti­nio segreto, il governo ha alla fine deciso di non met­tere la que­stione di fidu­cia (c’era un solo pre­ce­dente, su un decreto legge). I numeri della dis­si­denza interna al Pd non pre­oc­cu­pano Renzi, siamo lon­ta­nis­simi da quei novanta depu­tati che dovreb­bero pas­sare dal sì al no (l’astensione non baste­rebbe) per man­dare sotto l’esecutivo. La cam­pa­gna di con­vin­zione è andata avanti senza sosta, ieri anche un depu­tato di Sel — il pugliese Toni Matar­relli — ha annun­ciato che voterà per l’Italicum.

Eppure la que­stione di fidu­cia potrebbe tor­nare nel voto sugli arti­coli e sugli emen­da­menti. Minac­cian­dola per set­ti­mane, Renzi ha già otte­nuto due risul­tati: ha spac­cato ancor di più la mino­ranza interna (pochis­simi sono pronti a non votarla) e ha fatto pas­sare l’idea di uno scam­bio tra la rinun­cia al voto segreto (che è una garan­zia intan­gi­bile per le mino­ranze, in mate­ria elet­to­rale) e la rinun­cia alla fidu­cia (che è l’arma finale di tutti i governi, assai discu­ti­bile in mate­ria elet­to­rale). Il pre­mier a que­sto punto potrebbe anche non met­tere la fidu­cia. Rischie­rebbe però qual­cosa quando saranno votati que­gli emen­da­menti che mol­tis­simi depu­tati anche della mag­gio­ranza ren­ziana dichia­rano (in teo­ria) di apprez­zare. Soprat­tutto l’emendamento che recu­pera la pos­si­bi­lità di appa­ren­ta­menti al secondo turno.

Il voto segreto di oggi sarà un test, poi il pre­si­dente del Con­si­glio valu­terà come andare avanti quando, a mag­gio, la legge arri­verà ai pas­saggi deci­sivi. E non si tratta di un rin­vio dell’ultim’ora: da mesi la legge era stata messa in calen­da­rio a fine aprile al solo scopo di poter con­tin­gen­tare i tempi nel mese suc­ces­sivo. A Renzi inte­res­serà con­tare i voti con­trari alle pre­giu­di­ziali che arri­ve­ranno dai ren­ziani di Forza Ita­lia, pronti a soste­nere nel voto segreto la memo­ria del patto del Naza­reno. Gli amici di Ver­dini ieri hanno smen­tito con un’agenzia que­sta inten­zione, in pra­tica con­fes­san­dola. E non li si può accu­sare di incoe­renza, avendo Forza Ita­lia soste­nuto con­tro tutto e tutti l’identico testo di legge meno di tre mesi fa.

Renzi però qual­che agi­ta­zione la tra­di­sce, quando decide di scri­vere una let­tera aperta a tutti i respon­sa­bili dei cir­coli Pd. Per mor­ti­fi­care a più non posso l’opposizione interna, anzi «una parte della mino­ranza» e i suoi «veti». Dopo aver minac­ciato la crisi di governo in caso di scon­fitta sull’Italicum, rilan­cia con la minac­cia sul par­tito: «È in gioco la dignità del nostro par­tito» che potrebbe «venire meno come motore del cambiamento».

Al che le mino­ranze del Pd si offen­dono e com­pren­si­bil­mente pro­te­stano: i cuper­liani scri­vono una let­tera di rispo­sta, Fas­sina parla di mes­sag­gio «fan­ta­sioso e pre­oc­cu­pante». Ma prima di sera l’affondo del segre­ta­rio si com­pleta, e tutti i venti segre­tari regio­nali del Pd rispon­dono con un appello ai depu­tati per­ché si met­tano in riga: «Non fate imbo­scate». Non ne faranno.

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