Salone del libro. Dalle strategie militari all’intelligenza artificiale, all’analisi della realtà contemporanea. La fortuna accademica dello «sciame»
l Muro di Berlino è caduto da pochi mesi e oltre le macerie del socialismo reale ha lasciato sul campo i manuali di strategia militare usati tanto ad Est che ad ovest del vecchio continente. La pianificazione su come organizzare gli eserciti della Nato o del Patto di Varsavia sono ormai carta straccia. In Cina qualche eccentrico generale comincia a definire nuove strategie per un mondo unipolare dove Pechino punta a diventare una nuova superpotenza economica e militare. Per questo, l’esercito popolare deve riorganizzarsi, partendo da una situazione di svantaggio tecnologico, ma con una carta vincente che gli Stati Uniti non hanno: la conoscenza del territorio e un saldo legame con la realtà sociale. Pechino immagina scenari di resistenza a una possibile invasione nemica, ma la teoria della «guerra simmetrica» è, nel tempo, diventata una sorta di bibbia per gli eserciti regolari del ventunesimo secolo.
Dall’altra parte del Pacifico, gli Stati Uniti hanno un problema da risolvere: gestire una politica imperiale che prevede la possibilità di spostare in tempi rapidi le truppe ai quattro angoli del pianeta. L’esercito è visto come una forza di intervento poliziesco anche per fronteggiare insurrezioni popolari. Ed è in questa cornice che i think tank legati al Pentagono cominciano a sfornare studi su come organizzare unità dell’esercito a stelle e strisce per assolvere funzioni sia militari che di polizia. Il testo, che farà scuola, della organizzazione non governativa e conservatrice Rand Corporation analizza a fondo non tanto come debba essere organizzato un esercito, ma come si muovono i «movimenti insurrezionali».
Con straordinaria capacità analitica, la Rand Corporation parla dei movimenti sociali «insorgenti» come «sciami» che si formano, colpiscono per poi dissolversi. Il testo, reperibile in rete (www.rand.org/pubs/documented_briefings/DB 311.html) e firmato da John Arquilla e David Ronfeldt, anche se datato è ancora illuminante per la la chiarezza nell’esporre il punto di vista dell’esercito statunitense come forza di polizia internazionale, ma anche per la capacità di rappresentare il conflitto sociale nelle società contemporanee: i movimenti sociali sono caotici, eterogenei, senza una organizzazione centrale di coordinamento, ma quando agiscono appaiono come uno sciame, dove ogni partecipante si muove come se tutto sia stato attentamente organizzato.
Nello stesso arco di tempo, fisici, matematici, filosofi e programmatori di computer sono alle prese con gli sconfortanti fallimenti dei progetti di intelligenza artificiale. Le speranze di costruire una macchina «pensante» sono, allora, archiviate come un sogno troppo bello per essere vero. Qualcuno, però, tira fuori un esperimento di Alan Turing – ma alcuni storici della scienza dicono che è da attribuire ad altri – in base al quale se un umano «dialoga» con una macchina che fornisce risposte dotate di senso, sarebbe legittimo parlare di intelligenza. Se prendiamo un numero più o meno esteso di macchine informatiche o di robot che «comunicano» possono produrre comportamenti che a un osservatore esterno appaiono «intelligenti». I soliti informati qualificherebbero i ricercatori che organizzano in questa maniera il software, la comunicazione e le modalità di reazioni di macchine informatiche o robot come «connessionisti»; Più prosaicamente qualcuno a cominciato a parlare di «sciami intelligenti».
Stucchevole naturalismo
La convergenza tra strateghi militare e ricercatori di computer science nell’uso del termine sciame non deve meravigliare. Il mondo animale è stato infatti spesso usato per parlare del funzionamento della società o della politica – La favola delle api di Bernard de Mandeville o il Leviatano di Thomas Hobbes -, anche per ratificare il fatto che anche gli umani sono una specie animale, seppur particolare. Gli sciami costituiscono, se osservati dall’esterno, una forma di sofisticata e precisa organizzazione, dove ogni componente svolge un’azione sincronizzata a quelle dei suoi simili. Ciò che è amorfo, annotavano gli studiosi della Rand Corporation, appare invece come una perfetta organizzazione. Lo sciame può dunque essere presentato come una forma di organizzazione finalizzata a uno scopo che può essere sciolta ogni volta che l’obiettivo è stato raggiunto. Una prospettiva analitica che pecca di «naturalismo» e che nulla spiega del come lo sciame si forma e di come viene definito l’obiettivo. In altri termini è una rappresentazione che funziona come una fotografia, o un video che ha bisogno di una distanza ed esternità da quanto accade. Eppure lo sciame è usato per spiegare le modalità della comunicazione in Rete, per descrivere le azioni dei movimenti sociali dentro uno spazio definito – quasi sempre una metropoli -, quasi riuscisse a cogliere un nucleo di realtà altrimenti inafferrabile.
Il filosofo tedesco di origini coreane Han Byung-Chul utilizza lo sciame per descrivere le modalità della comunicazione nella Rete, assegnando ai social media e ai social network la responsabilità di una comunicazione povera dovuta ai «format» imposti agli utenti, sia a causa della limitazione fisiche – con Twitter non si possono usare più di 140 caratteri – che allo spirito gregario che favoriscono (i Like di Facebook). Sugli esempi di alienazione, impoverimento e conformismo che l’autore propone non c’è molto da obiettare. È esperienza diffusa che tanto più è veloce lo scambio di informazione, più è facile deviare da quanto stabilisce la maggioranza.
Nella riflessione di Han Byung-Chul lo sciame perde dunque i caratteri perturbanti messi in evidenza dalla Rand Corporation e dai «connessionisti» per assumere il profilo di un forma di azione sociale e comunicativa omologata allo spirito dominante nella società. Lo sciame digitale divine folla e a farle da padrone sono quei sentimenti, modalità di relazione gregaria che escludono ogni possibilità di trasformare l’esistente.
La fusione oscurata
La realtà è tuttavia più contraddittoria, ambivalente di quella definita dal filosofo coreano. Certo, l’azione di bullshit (la denigrazione attraverso l’insulto gratuito e violento, il bullismo in Rete) assume proporzioni difficilmente controllabili da qualsiasi «moderatore» o censore della comunicazione on line, ma il mail bombing è anche una forma di protesta contro il comportamento di una impresa nei confronti dei lavoratori, o della polizia o di una istituzione statale. Ciò che appare povero a Han Byung-Chul è, in questo caso, denso della ricchezza delle relazioni sociale nella definizione dell’obiettivo da raggiungere.
La categoria dello sciame perde quindi la sua capacità analitica nel descrivere comportamenti sociali. In altri termini, funziona solo come una fotografia scattata dall’esterno. Più che il movimento definisce la staticità di una situazione. E nulla dice delle dinamiche all’interno dello sciame-movimento e tra questo e il contesto sociale «esterno». In altri termini, nulla dice dei processi di formazione delle soggettività, delle procedure attraverso le quali vengono prese le decisioni sulla modifica dei comportamenti dello sciame in azione.
Lo sciame, anche quello assunto dal filosofo coreano, riduce l’azione e i conflitti sociali a fenomeni etologici che cancellano quella consumata fusione tra natura e cultura che caratterizza lo stare in società e nel mondo. Il saggio di Han Byung-Chul è tuttavia rilevante per comprendere il legame tra comunicazione e movimenti sociali, anche se in forma diversa da quanto prospettato nel saggio Nello sciame. La condivisione di un progetto e di un obiettivo segue logiche che possono essere ricostruire sempre a posteriori. Per comprendere il perché si forma uno sciame – che è immagine potente nella sua rappresentazione – occorre seguire altri sentieri, confrontarsi con la costituzione materiale che precede e talvolta viene modificata dallo sciame.
Oltre i legami deboli
Il nodo da sciogliere è quella semplicità difficile a farsi che è l’elaborazione di un Politico adeguato all’eclissi dei processi di formazione delle identità collettive del passato. Ma per questo non servono scorciatoie. Neppure quelle di mimetizzarsi per rendersi visibili e tornare anonimi e dunque invisibili nel momento in cui svaniscono i legami «deboli» dello sciame. Come insegna la giornata del primo maggio a Milano, esempio di uno sciame autocompiaciuto della sua rappresentazione ipermediatica.