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Heysel, la verità di una strage annunciata

hirmagazin 2015 05 24 080941

Il 29 mag­gio 1985 allo sta­dio Hey­sel di Bru­xel­les, prima della finale di Coppa dei Cam­pioni tra Juven­tus e Liver­pool, mori­rono 39 tifosi bian­co­neri. Mori­rono nel set­tore Z, schiac­ciati e sof­fo­cati dalla calca, sotto i colpi degli hoo­li­gans inglesi con l’evidente con­ni­venza delle auto­rità e della poli­zia bel­ghe, inca­paci di pre­ve­dere e d’intervenire.

In “Hey­sel, le verità di una strage annun­ciata”, Fran­ce­sco Care­mani, gior­na­li­sta e juven­tino, rico­strui­sce quanto acca­duto in quelle dram­ma­ti­che ore di 30 anni fa, ma soprat­tutto quanto accadde dopo, nei lun­ghi anni del pro­cesso che ha por­tato alla con­danna di una doz­zina circa di hoo­li­gans del Liver­pool, per pene dai 4 ai 5 anni di reclusione.

Anche l’Uefa è stata dichia­rata col­pe­vole e obbli­gata a pagare i risar­ci­menti (da un minimo di 14 a un mas­simo di 400 milioni di vec­chie lire) in quanto rite­nuta respon­sa­bile per aver fatto gio­care una par­tita così impor­tante come l’atto con­clu­sivo della Coppa dei Cam­pioni in un impianto fati­scente, dove la gestione dell’ordine pub­blico e della sicu­rezza da parte delle auto­rità locali fu, come accen­nato, del tutto defi­ci­ta­ria e inadeguata.

Edito nel 2003 dalla casa edi­trice Bra­di­po­li­bri, nelle ultime set­ti­mane è stato ripro­po­sto in libre­ria e ne è stata pro­dotta una ver­sione in inglese.

È l’unica opera uffi­cial­mente rico­no­sciuta dai parenti delle vit­time dell’Heysel, cosa di cui Fran­ce­sco Care­mani va giu­sta­mente fiero, come ci ha riba­dito di per­sona nel corso dell’intervista che ci ha concesso.

Qual è il tuo ricordo per­so­nale di quel giorno?

Avevo 15 anni e in realtà sarei dovuto essere anche io all’Heysel a inci­tare Pla­tini e com­pa­gni. Non ci andai solo per­ché avevo un’insufficienza in latino e i miei non mi die­dero il per­messo. Così vidi la par­tita a casa di un mio amico. Lì l’anno prima ave­vamo visto la finale di Coppa delle Coppe che la Juve vinse con il Porto e quindi ci sem­brava giu­sto non cam­biare “sede”. Dell’incontro non ricordo asso­lu­ta­mente nulla, seb­bene l’abbia visto. Ram­mento solo per­fet­ta­mente che mia madre mi chiamò per dirmi che Roberto Loren­tini, un nostro amico di fami­glia, era ferito. In realtà era una bugia, per­ché il padre Otello, che era con lui, sapeva già della morte del figlio. Quando tor­nai a casa vidi delle per­sone che festeg­gia­vano nel cen­tro di Arezzo, la mia città. Ci rimasi molto male. Poi la mat­tina abbiamo sco­perto la ter­ri­bile verità sulla sorte del nostro amico. Roberto Loren­tini era un medico e, nono­stante si fosse sal­vato dopo la prima carica degli inglesi, ritornò indie­tro per soc­cor­rere un bam­bino ferito, secondo alcune testi­mo­nianze Andrea Casula, la vit­tima più gio­vane di quella tra­ge­dia (aveva solo 11 anni, n.d.r.). Morì tra­volto da una seconda carica degli hoo­li­gans men­tre era chi­nato a pra­ti­car­gli la respi­ra­zione artificiale.

Ci rac­conti un po’ la genesi del libro?

In realtà non avevo mai pen­sato di scri­vere un libro sull’Heysel, seb­bene cono­scessi molto bene come ti ho detto Otello Loren­tini, che poi è diven­tato il pre­si­dente dell’Associazione dei parenti delle vit­time. Fu pro­prio lui a chie­dermi di farlo. Fui col­pito dalla luce nei suoi occhi, dalla sua voglia che si facesse final­mente chia­rezza su come i fami­liari dei 39 tifosi morti quel male­detto 29 mag­gio fos­sero stati lasciati soli, dimen­ti­cati e soprat­tutto messi a tacere. Tanto per farti capire che cosa intendo, Otello in que­gli anni è stato inter­vi­stato più dalle tele­vi­sioni stra­niere che da quelle ita­liane, soprat­tutto nel decimo e nel ven­te­simo anni­ver­sa­rio. Eppure lui è stato un testi­mone diretto di quanto acca­duto nel set­tore Z e di quello che si è veri­fi­cato dopo, in par­ti­co­lare durante il pro­cesso. Per que­sto io dico sem­pre che il mio è un libro di parte, la parte giusta.

Per­ché dici che i parenti delle vit­time sono stati messi a tacere?

Per­ché era meglio non par­lare di Hey­sel, era un argo­mento sco­modo. La pole­mica tra il diret­tore della Gaz­zetta dello Sport, il com­pianto Can­dido Can­navò, e il pre­si­dente della Juven­tus sull’opportunità di resti­tuire o meno la Coppa è esem­pli­fi­ca­tiva. Per Boni­perti quella coppa doveva rima­nere nella bacheca del club. La posi­zione della Juve era che i gio­ca­tori non sape­vano nulla di quanto acca­duto nel set­tore Z prima di entrare in campo, eppure prima Ste­fano Tac­coni nel 1995 e poi Paolo Rossi nel 2004 hanno fatto dichia­ra­zioni che vanno in dire­zione con­tra­ria. Con l’avvento di Andrea Agnelli la società bian­co­nera ha ini­ziato a fare qual­cosa per ricor­dare l’Heysel. C’è una sezione sulla tra­ge­dia nel museo dello Sta­dium e nel 2010 è stata cele­brata una messa in ricordo delle vit­time. Anche il pros­simo 29 mag­gio ci sarà una messa, ma credo che si dovrebbe fare molto di più.

Eppure le colpe di quanto acca­duto non sono certo della Juventus…

Esatto, sono degli hoo­li­gans del Liver­pool, delle auto­rità e della poli­zia belga e, non dimen­ti­chia­molo, dell’UEFA, come dimo­strano le sen­tenze emesse dal tri­bu­nale di Bruxelles.

Chi ti ha aiu­tato di più a scri­vere il libro?

Otello, che pur­troppo dall’anno scorso non c’è più, è stato senza dub­bio di un’importanza fon­da­men­tale, era il mio Omero che mi ha tra­sci­nato all’interno di quel dramma. Ma non vor­rei dimen­ti­care Daniel Vedo­vatto, avvo­cato italo-belga e all’epoca con­su­lente dell’ambasciata ita­liana a Bru­xel­les, che nella causa si è bat­tuto con­tro prin­cipi del foro assol­dati dal governo belga, dall’Uefa e dagli hoo­li­gans inglesi e che mi ha dato una grossa mano per redi­gere l’appendice del libro dedi­cata agli atti pro­ces­suali. Vedo­vatto è con­vinto che, visti i mezzi a dispo­si­zione all’epoca e nono­stante pre­ce­denti giu­ri­spru­den­ziali non favo­re­voli, giu­sti­zia sia stata.

Che cosa stai facendo in que­ste set­ti­mane che pre­ce­dono l’anniversario?

Molte pre­sen­ta­zioni del libro un po’ in tutta Ita­lia; in par­ti­co­lare, nella set­ti­mana dell’anniversario, in varie loca­lità del Pie­monte ne ho anche 3–4 al giorno! Nelle scuole supe­riori incon­tro ragazzi che nel 1985 non erano nem­meno nati. È impor­tante spie­gare loro che cosa ha voluto dire quella tra­ge­dia e anche che cosa voglia dire andare allo sta­dio, vivere il momento della par­tita nella maniera più giu­sta e cor­retta pos­si­bile. Que­sta espe­rienza mi sta arric­chendo molto e sono molto rin­cuo­rato dalla rea­zione dei ragazzi. In una scuola di Bolo­gna hanno apprez­zato così tanto l’incontro che mi hanno chie­sto di tor­nare nel giro di un mese.

Come vivono il ricordo i tifosi della Juve?

In maniera non del tutto omo­ge­nea. Tanti ultrà cri­ti­cano il gesto di aver alzato la coppa. C’è un gruppo che si chiama Nucleo1985 pro­prio in memo­ria dell’Heysel. Però altri la pen­sano in maniera dif­fe­rente e pur­troppo spesso ci sono pole­mi­che che io ritengo a dir poco ste­rili, come quando la rinata Asso­cia­zione dei parenti delle vit­time ha chie­sto di riti­rare (sim­bo­li­ca­mente) la maglia numero 39 della Nazio­nale e tanti juven­tini hanno cri­ti­cato que­sta iniziativa.

Quale lezione ha tratto il mondo del cal­cio in gene­rale e il cal­cio ita­liano in par­ti­co­lare dalla tra­ge­dia dell’Heysel?

Il cal­cio ita­liano non ha impa­rato nulla. Nei nostri stadi si è con­ti­nuato a morire e nem­meno le norme emer­gen­ziali hanno risolto un gran­ché. La man­cata memo­ria di quell’evento così lut­tuoso è la car­tina di tor­na­sole di un movi­mento malato, dove non c’è cul­tura spor­tiva, tutto è subor­di­nato alle vit­to­rie e le società con­ti­nuano a essere ricat­tate dalla parte nega­tiva del mondo ultrà, i «fuc­king idiot» per inten­dersi. Nono­stante la richie­sta di una memo­ria con­di­visa da parte dei parenti, in un’Italia spac­cata tra anti­ju­ven­tini e juven­tini i cori a dileg­gio dei morti dell’Heysel ci sono sem­pre stati. Ci hanno messo 29 anni prima di san­zio­nare gli ultrà della Fio­ren­tina che li face­vano (cioè la società, n.d.r.), tanto per farti un esempio.

Invece in Inghil­terra le cose sono cambiate…

Sì, è vero, ma non dopo l’Heysel. C’è voluta un’altra tra­ge­dia, quella dell’Hillsborough, quando 96 tifosi del Liver­pool mori­rono schiac­ciati in una curva dello sta­dio dello Shef­field Wed­ne­sday, per far sì che anche loro impa­ras­sero la lezione.

Forrás: http://ilmanifesto.info/heysel-la-verita-di-una-strage-annunciata/

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