Home Newspaper OLASZ - Formazione linguistica C’era una volta un re, una pulce e la regina

C’era una volta un re, una pulce e la regina

Cinema. In concorso al prossimo Festival di Cannes, «Il racconto dei racconti», il nuovo film di Matteo Garrone, si ispira a «Lo cunto de li cunti» di Giambattista Basile. Cast internazionale, da Salma Hayek a Toby Jones, è una magnifica riflessione sul potere dello sguardo

 

C’era una volta un re. E una regina. Nel loro castello però non arri­vava la prin­ci­pes­sina, quella a cui le favole spesso riser­vano un destino cru­dele e che alla fine viene sem­pre sal­vata dal cava­liere azzurro bello e senza paura … Per avere un figlio la Regina (Salma Hayek) e il Re (John C.Reilly) sono dispo­sti a tutto ma un desi­de­rio così vio­lento li avverte un dia­bo­lico Cali­bano (Franco Pistoni) potrebbe avere con­se­guenze terribili.

C’è poi una prin­ci­pessa (Bebe Cave) che sogna il grande amore, e il matri­mo­nio con l’abito più bello fan­ta­sti­cando sulle avven­ture di Lan­cil­lotto. Il padre re (Toby Jones) è troppo preso da una pulce per pre­oc­cu­parsi di lei, e a causa di que­sta insana attra­zione la ragazza cono­scerà un tra­gico destino.
Ci sono due sorelle anziane che tin­gono stoffe, una di loro ha la voce di fan­ciulla, e il re (Vin­cent Cas­sel) se ne inva­ghi­sce un’alba dopo i suoi festini lui che è divo­rato dalle ragazze in fiore. La donna si nega e accende ancora di più il suo desi­de­rio ma quando sco­prirà, dopo una notte di sesso, che è una vec­chia la farà get­tare disgu­stato dalla finestra.

Lo Cunto de li Cunti scritto da Giam­bat­ti­sta Basile nel Sei­cento (in napo­le­tano) rac­co­glie cin­quanta fiabe, le più anti­che d’Europa, fonte di ispi­ra­zione per Grimm e Ander­sen, e di que­ste Mat­teo Gar­rone ne ha scelte tre, La vec­chia scor­ti­cata, La pulceLa cerva fatata che sci­vo­lano l’una den­tro l’altra, come vuole la nar­ra­zione orale nel suo nuovo film, Il rac­conto dei rac­conti, Tale of Tales, in con­corso al pros­simo Festi­val di Can­nes, e in sala il 14 mag­gio. Una fiaba pau­rosa come sono tutte le fiabe, e come con accenti diversi tutti i suoi «fia­be­schi» film visto che è il sen­ti­mento umano nel pro­fondo di pul­sioni arche­tipe e immu­ta­bili, paure e desi­deri, fra­gi­lità e vio­lenze che il regi­sta esplora, qui spo­gliato dalla tem­po­ra­lità e dalla con­ti­genza, immerso nel pae­sag­gio del Mito. In cui si mesco­lano hor­ror e fan­tasy, che della fiaba sono le decli­na­zioni intime, la bel­lezza potente di una pit­tura pre­raf­fael­lita, eccen­trica intui­zione della meta­mor­fosi barocca (ovi­diana) che attra­versa l’universo delle sto­rie: umani e «mostri» si scam­biano le fat­tezze, pulci giganti e cuori di drago danno forma a egoi­smi e indif­fe­renza, pia­ceri proi­biti e riti di pas­sag­gio, sus­sulti di fol­lia e romanzi cru­deli di formazione.

Lui, Gar­rone, si muove tra le sue visioni come un acro­bata sul filo teso alla per­fe­zione, saldo, senza cedi­menti, col respiro potente e sen­suale delle sue imma­gini.
Siamo fuori del tempo, in castelli sta­gliati con­tro un cielo blu che pos­sono essere oggi o un pas­sato remoto, geo­me­trici labi­rinti di un sen­ti­mento che ripete sé stesso all’infinito nei nostri incubi e nelle nostre osses­sioni. Intorno boschi pànici dove strane crea­ture, divi­nità ma non dei si diver­tono a ingar­bu­gliare il corso delle cose, e a stuz­zi­care gli umani nelle debolezze.

Gar­rone «dege­nera» i generi, spiazza lo sguardo e il cuore con­du­cen­doci len­ta­mente nell’Edipo della nostra uma­nità. La sua «tra­du­zione» del Rac­conto dei rac­conti — nella sce­neg­gia­tura scritta insieme a Mas­simo Gau­dioso, Edoardo Albi­nati, Ugo Chiti — è una favola sul potere dell’immaginario che pro­duce regole, gen­der, modelli, desi­deri, e che solo dal «di den­tro» può essere spiaz­zato, rein­ven­tato con una ribel­lione del corpo e dell’anima. L’esaltazione fana­tica della bel­lezza gio­vane e per­fetta, per­ché solo que­sto vale, non una sem­plice voce, non una sto­ria ma essere come lo sguardo del Re desi­dera dopo avere pro­vato a ingan­narlo. Lui che in fondo è già vec­chio e come certi sovrani dei nostri giorni si cir­conda di ragazze e orge. Ma quale beffa è il tempo che nes­suna magia può fer­mare, quello bio­lo­gico almeno, eppure per essere gio­vani le due sorelle sono dispo­ste a sacri­fi­care anche chi amano, a incol­larsi il corpo (pro­to­tipo della chi­rur­gia pla­stica), a farsi scarnificare.

Ed è un romanzo di for­ma­zione, quella neces­sità vio­lenta di ucci­dere i geni­tori, sep­pure in modo incon­sa­pe­vole (incon­scio), la madre che sovra­sta e con­si­dera un pezzo di sé il figlio prin­cipe albino e che al tempo stesso è pronta a farsi ucci­dere per lui. Si può essere liberi in altro modo?
Ma soprat­tutto Il rac­conto dei rac­conti — dedi­cato a Nico (Gar­rone) papà del regi­sta, col­tis­simo cri­tico e uomo di tea­tro, e a Marco (Ono­rato) il suo padre cine­ma­to­gra­fico — è un film com­muo­vente sul fem­mi­nile che que­sto Potere dell’uomo e della tra­di­zione (e dell’inconscio) cer­cano di con­for­mare ai pro­pri voleri, spec­chio di un desi­de­rio, ciò che le donne devono essere, ver­gine, sposa, gio­vane e bella, madre fino alla fol­lia e alla morte, figlia devota pronta a sacri­fi­carsi per il pro­to­collo del regno, il volere di un padre il cui sguardo è più attratto da un insetto. Sono le donne in diverse età, forse per­sino una donna sola, le pro­ta­go­ni­ste di que­ste sto­rie e del film, i per­so­naggi su cui si con­cen­tra il regi­sta, le sole che pos­sono desta­bi­liz­zare lo sguardo e gli imma­gi­nari pro­du­cendo muta­zioni imprevedibili.

Il limite è sem­pre lo scon­tro con quel potere (sguardo), quando sot­trarsi e come ribal­tarlo. A ucci­dere l’orco non arriva nes­sun prin­cipe azzurro, l’orco si uccide da sola sia esso un padre orrendo nella sua indif­fe­renza, che stu­pra il sen­ti­mento, o un uomo vio­lento che la gio­vane prin­ci­pessa, novella Salomè dopo essersi ribel­lata al suo destino potrà essere regale.

Non c’è a ben vedere tanta distanza tra que­sto film ed altri di Gar­rone, penso a L’imbalsamatore, Gomorra o il pre­ce­dente Rea­lity. Anche lì nono­stante la «cronaca»e i rife­ri­menti alla realtà la mac­china da presa del regi­sta spo­stava il suo punto di vista adden­tran­dosi nell’immaginario, nella rap­pre­sen­ta­zione di sé con­forme ai «modelli» — i ragaz­zini scor­se­siani di Gomorra — nelle pro­ie­zioni su qual­cuno o su qual­cosa di un desi­de­rio ori­gi­na­rio e col­let­tivo, fosse pure rin­chiu­dersi nella Casa del Grande Fratello.

Cià che cam­bia è la forza delle sue imma­gini, a ogni film sem­pre più sor­pren­denti, talento di un regi­sta unico in Ita­lia a avven­tu­rarsi in un ter­reno aperto e così son­tuoso. E non è que­stione di effetti spe­ciali ma di dosaggi tra emo­zio­na­lità e luce (a cui il geniale Peter Suschitzky trova per­fetta cor­ri­spon­denza), ritmo (il mon­tag­gio di Marco Spo­le­tini), pia­cere discreto di un festo d’amore. Con «truc­chi» quasi arti­gia­nali (e ovvia­mente raf­fi­na­tis­simi), omag­gio al cinema di Bava, dice Gar­rone, ma anche a quello dei barac­coni e dei cir­chi, alle fan­ta­sie lunari di Mèliés coi suoi dra­ghi e i suoi viag­gia­tori spaziali.

Il Rac­conto dei rac­conti è un film magni­fico, un’esperienza dei sensi den­tro a quel cinema «grande» senza la reto­rica pre­ten­ziosa di dichia­rarsi tale, con la bel­lezza pura di una sfida.

Forrás: http://ilmanifesto.info/cera-una-volta-un-re-una-pulce-e-la-regina/

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